Uno dei posti che amo di più al mondo sono le librerie.
Mi piacciono quelle librerie di vecchio stampo, non le grandi catene. Preferisco quando non ci sono commesse pressanti e soprattutto quando ci sono i cartelli che invitano ad aprire i libri per sfogliarli: scelgo spesso dalla copertina, perché sono lettrice abbastanza onnivora e alterno classici a premi Strega o ultime novità.
La bellezza di un libro di ricette, poi, mi affascina sempre: con altre amiche blogger condivido questa passione e ci aggiorniamo sulle nuove favolose e imperdibili uscite, ed è diventato un affare al limite del collezionismo.
Anche la catalogazione dei libri è una cosa seria per me eh… In cucina, sulla mensola, dedico spazio ai miei preferiti mentre nella mia stanzetta set fotografico ho una libreria Ikea dove conservo tutti gli altri: in questo momento ne ho acquistati alcuni di narrativa, sempre legata alla cucina e al gusto, su consiglio di Giulia (Jul’s Kitchen) durante il suo corso di scrittura e ora giacciono sul mio comodino in attesa che io finisca “Orgoglio e Pregiudizio”.
Insomma, un mix variegato.
La scorsa settimana però in libreria ho visto una novità che mi ha provocato delle emozioni contrastanti: è uscito un libro molto bello, nella fotografia e nella scrittura, che si chiama “Veneto”. L’ho sfogliato, felicissima che qualcuno di noi veneti si fosse preso la briga di catalogare e tramandare i nostri piatti tipici.
Purtroppo, era in lingua inglese. Intendiamoci, la maggior parte dei miei cookbooks lo sono, ma non mi aspettavo che fosse, presumo, rivolto ad un mercato “estero” e non anche ai veneti come me che hanno piacere di riscoprire la loro terra dal punto di vista enogastronomico.
Poi oh, se a nessun veneto indigeno è venuto in mente di farlo, dobbiamo solo dire meaculpa. Ma mi dispiace un pochino, ecco.
Comunque, è ora di mettere sul fuoco l’ossobuco e la polenta, di Mais Biancoperla di Marano Vicentino.
Oggi il Calendario del Cibo festeggia la polenta e non potevo esimermi, da buona veneta.
La mia regione, attraversando la sua storia, si è legata fortemente a questa preparazione. Il mais ha salvato dalla fame intere generazioni e la mia nonna mi racconta sempre di grandi “caglieri” (paioli) nei quali tutti i giorni sobbolliva lentamente la polenta: era un po’ il pane ad ogni pasto, perché di pane non ce n’era molto e a differenza di altre regioni non è mai stato tradizionale preparare pani che si conservassero a lungo come il nero altoatesino o il pane sciapo toscano, ad esempio.
Comunemente se in Veneto si parla di polenta ci si riferisce alle varie qualità gialle, però fino al secondo dopoguerra, nel Polesine, nel Trevigiano e nel Veneziano si cucinava soprattutto una polenta bianca.
Il mais utilizzato è il biancoperla, una varietà che produce pannocchie più lunghe e affusolate di quelle gialle, con grandi chicchi bianco perla da cui si ricava uno sfarinato fine e saporito.
Ottimo l’abbinamento con piatti di pesce, io oggi l’ho preparata però in abbinamento ad un sugoso ossobuco.
L’ossobuco e la Polenta di mais biancoperla
Vi consiglio di preparare l'ossobuco il giorno prima di gustarlo. Come tutti i brasati e stufati, ne guadagna in sapore e non dovrete sincronizzare la cottura della carne con quella della polenta.
*La farina di mais biancoperla di Marano è presidio Slow Food*
Ingredients
- Farina di Mais - 200 g circa
- Acqua - 1 litro
- Sale grosso
- Per l'ossobuco
- Olio extravergine di oliva - 4/5 cucchiai
- Porro piccolo - 1
- Carota - 1
- Sedano - 1 costa
- Salvia, rosmarino, timo
- Ossobuchi di vitello - 4
- Vino bianco secco - mezzo bicchiere
- Concentrato di pomodoro - 1 cucchiaio abbondante
- Sale, pepe nero macinato fresco
Instructions
Pulite il porro eliminando la foglia esterna più dura poi affettate sottilmente la parte bianca.
Pelate la carota dalla buccia esterna poi tagliate a piccolissimi cubetti.
Eliminate i fili dal gambo di sedano, altrimenti li ritroverete poi interi in pentola, e tritate anch'esso a cubettini.
Tritate finemente anche le foglie di salvia, di rosmarino e staccate dal loro rametto le minifoglioline del timo.
In una casseruola dal fondo spesso, meglio se di coccio o di ghisa, versate l'olio in modo che il fondo sia ricoperto, aggiungete le erbe e le verdure tritate poi accendete il fuoco dolce e fate soffriggere finché il porro è dorato (occhio, se il fuoco è troppo alto brucia in fretta!).
In una ciotola, sciogliete il concentrato di pomodoro in un bicchiere scarso di acqua.
Aggiungete ora gli ossibuchi, fate colorire da entrambi i lati poi versate il vino e fate evaporare a fiamma alta: appena l'odore dell'alcool non si sentirà più, abbassate il fuoco portandolo ad un livello medio, versateci il concentrato, incoperchiate lasciando un piccolo spiraglio e fate cuocere per circa 2 ore.
L'ossobuco ha del grasso tenace attorno, che in cottura si arriccerà ma terrà insieme i pezzi di carne.
A cottura ultimata, salate, pepate e frullate il sughetto che rimarrà sul fondo per servirlo con la carne. Se troppo liquido, potete anche aggiungere un cucchiaio di amido o di farina per addensarlo sul fuoco.
Mettete ora l'acqua in una pentola capiente insieme a mezzo cucchiaino di sale grosso: appena arriva a bollore versate la farina a pioggia mescolando con una frusta per evitare i grumi. Lasciate sobbollire per circa 40/45 minuti, mescolando con molta attenzione meglio se con un mestolo di legno. Appena pronta, rovesciarla su un tagliere di legno e servirla calda con l'ossobuco.
Appunti speziati
Vi avanza polenta?
Una volta raffreddata potete tagliarla a fette e grigliarla oppure friggerla in abbondante olio bollente, oppure potete riutilizzarla in altre preparazioni: vi consiglio ad esempio gli gnocchetti, oppure come complemento per gli spiedini. E se volete provare un piatto super veneto, il minestrone con la polenta fa al caso vostro.
Versione senza glutine
Questa ricetta è preparata con ingredienti naturalmente senza glutine: prestate attenzione che tutti gli alimenti a rischio, come la polenta e il concentrato di pomodoro, siano certificati se destinati ad un celiaco.
Versione senza lattosio
Questa ricetta non contiene lattosio.
3 Comments
di libri sulla cucina veneta in italiano ne esistono a centinaia. Ti consiglio in particolare quelli della collana Tarka, volumi bellissimi anche da vedere (e da collezionare), che spiccano per un approfondimento territoriale. Di sicuro esistono a Cucina Padovana e la Cucina vicentina perchè li possiedo, ma se curiosi nel loro sito troverai veramente di tutto. Ci sono poi i libri di Espedita Grandesso, godibilissimi sin dai titoli e a me non dispiace neppure La cucina di mare veneta di Emilia Valli (storica autrice di cibo, poco valutata, purtroppo), della Newton Compton. Il “difetto” di tutte queste pubblicazioni è di non essere libri da foodblogger. Non ci sono foto e neppure storytelling in prima persona e quindi non li cita quasi più nessuno, fra le pubblicazioni che vanno di moda. Ma sono storie corali, di piatti e quindi di popoli che li hanno elaborati e trasmessi e possono essere un ottimo viatico per chi, come te, nutre una passione sincera e profonda per il cibo e ha tutti gli stumenti per poter andare in profondità e trovarti magari a collezionare libretti scovati sulle bancarelle sotto casa, con foto agghiaccianti e ingredienti strampalati ma che sono comunque una tappa di una tradizione che si è evoluta negli anni.
Questa polenta è la fine del mondo e ancora più sorprendente è l’abbinamento con la carne. Io son sempre ferma al pesce, con la polenta bianca ed è forse anche per questo che la uso poco. Proprio vero che bisogna sempre fare visita ai blog amici 🙂
Io buona veneta e polentona (sebbene domiciliata nella capitale). Ma Veronese. E da noi la polenta è rigorosamente gialla…raramente si utilizza quella bianca tipica del vicentino. Ma GNAMM le tue foto sono meravigliose e se non fosse che mi separar uno schermo dal tuo piatto fumante, io sarei con il cucchiaio già alzato! (cucchiaio sì, non forchetta, devo raccogliere di più!!!)
Michela
Grazie Alessandra. Adesso devo assolutamente reperire questi volumi che mi consigli: di libretti di ricette ne ho, ma appunto vorrei qualcosa di più “vecchio”. Non mi formalizzo sull’assenza di storytelling né di foto, mi bastano le buone istruzioni e un po’ di storia e il resto mi diverto a farlo io. 😉
Grazie di cuore!